Troppo bravo per loro
di Federico Zeri (1990)

Fabrizio Clerici lo ammiro da quando ero ragazzo, ancora prima di vedere le sue opere originali e di conoscerlo personalmente.
Intorno al '41 trovai le riproduzioni di alcuni disegni bellissimi su riviste come " Stile" o "Domus". Erano dei ritratti e mi colpirono soprattutto per l'intelligenza, quell'intelligenza che è tuttora il suo pregio maggiore. La pittura deve trasmettere delle idee, la forma deve rivelare una cultura: è lì la forza di Cierici. Andavo a tutte le sue mostre, e intorno al '60 l'ho conosciuto: un uomo colto come i suoi quadri. Per certi aspetti Clerici mi ha aperto gli occhi (per esempio con il "Sonno romano"), e io lo considero uno dei più interessanti tra i contemporanei: nessun quadro suo mi ha mai deluso. 1 critici lo hanno sostanzialmente ignorato, è vero, se non dileggiato (mi ricordo di uno che davanti a un suo dipinto di soggetto antico faceva gli scongiuri ... ), ma non mi sorprende: gran parte della pittura italiana ha un respiro regionale, provinciale addirittura parrocchiale. E la critica è sempre pronta a osannare i populisti, i finti classicisti di turno, tutta gente che non ha niente a che fare con la cultura europea.
Dunque perché Clerici, che è un pittore davvero europeo, dovrebbe essere amato? Del resto è storia vecchia: De Chirico, il più grande pittore italiano dai tempi di Giovan Battista Tiepolo, fu a lungo sbeffeggiato prima della glorificazione (non ho dimenticato le barzellette che circolavano sugli uomini ortopedici", ossia i manichini...
Domenico Gnoli, poi, l'hanno scoperto quando era morto da un pezzo. Osvaldo Licini, un altro pittore di statura monumentale, è stato riconosciuto con imperdonabile ritardo.
Forse Clerici può sperare in un destino migliore e mi sembra quanto mai opportuna questa antologica che la Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma ha deciso di dedicargli.
Ci aiuterà a definirlo? "Realista irreale", "surrealista intellettuale" sono etichette che lascio volentieri ad altri; lui si dice "metafisica", e di certo un'aria di famiglia c'è, ma il suo segreto sta in quel legame con la cultura viva e in quella novità di ispirazione che non hanno molti corrispettivi tra i contemporanei (quanto alla sua "metafisica", direi che oggi è più pronunciata di un tempo).
Certe strutture misteriose, certi paesaggi raggelati che alludono a un aldilà inquietante, sembrano scoperte di luoghi immaginari e reali insieme, come il deserto nei dintorni di Petra...
Su alcuni quadri con le rovine scriverei dei versi, se ne fossi capace.
Sono in pochi a reggere il confronto: di sicuro Alberto Savinio, che però strilla troppo, a volte, con certe trovate da cartellonista; e Dalí, che Clerici di certo ha visto molto, ma rispetto al quale è assolutamente autonomo. Insisterei sulla qualità sempre stimolante della sua cultura, che sembra fatta apposta per non piacere alla massa. Ecco, Fabrizio Clerici è un vero eccentrico. Diverso da quelli pieni di soldi e di potere che si dichiarano d'avanguardia ma che sono noti solo a qualche critico italiano, o a qualche critico newyorchese.
Quel che m'impressiona di più in lui è il segno: netto, liscio, privo di grumi come la sua materia pittorica, aliena da sconvolgimento facili e fondata su un grande talento di disegnatore.
Insomma, in quella provincia culturale che è l'Italia, in cui - a parte poche eccezioni geniali - i fatti avvengono con una media di cinquanta anni di ritardo e dove chi dice o fa cose nuove è ignorato o deriso, Clerici dà vita a una confortante "pittura da signore", nutrita di buona letteratura e di buone idee. Non è un caso che i nostri letterati più avveduti l'abbiano spesso pubblicamente apprezzato: da Moravia, a Sciascia, a Bufalino... E un pittore a parte, forse appartato, ma non per colpa sua. Un signore, appunto.