Adriano Bimbi è nato a Bibbona (Livorno) nel 1952, risiede e lavora a Canonica di Sesto Fiorentino, Firenze.
Ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Firenze - con Fernando Farulli -, dove è attualmente titolare della cattedra di Pittura. Espone regolarmente in Italia e all’estero dal 1973, anno della prima mostra collettiva dell’AABB di Firenze, alla Galleria dell’Accademia delle Arti del Disegno.
La sua produzione plastica si inserisce nella migliore tradizione del Novecento italiano e interpreta con particolare attenzione la quotidianità della figura e del gesto. Scrive di lui Nicola Micieli: «Non v’è invenzione formale, per quanto ardita e sorprendente nel suo esplicarsi visivo, che, per abito mentale ed educazione del gusto, Bimbi non riconduca alla compiutezza dell’impianto dal respiro forte e cadenzato in arsi e tesi ampie e solenni, sintesi di organicità e astrazione nelle grandi come nelle piccole opere.
Le ragioni della forma, in definitiva, incontrano e mediano le istanze della vita, che Bimbi sottrae al loro inesorabile accadere fenomenico fissandole nell’esemplarità evocativa di un gesto, di un atteggiamento, di un’espressione, di una situazione sospesa, da cui discende il senso di trasfigurazione metafisica della dimensione quotidiana in cui consiste uno dei tratti di maggior suggestione della sua scultura».
« Si tratta di un artista di una rara qualità plastica.», scrive Mario De Micheli, «Io guardo i suoi bronzi e resto sorpreso dalla loro asciutta energia, dal loro concentrato vigore. C’è in essi una sorta di vitalità centripeta, che raccoglie dall’esterno all’interno la sua potenza. In questo senso è proprio uno scultore toscano: cioè non enfatico, non espansivo, che sta all’osso delle proprie immagini. Penso a Marino e a Vangi, ma al tempo stesso penso anche a un artista che ormai possiede una fisionomia distinta, un linguaggio di netta evidenza [...] il suo discorso si definisce con rigore ed ampiezza, fedele alle premesse di una poetica che ha il suo centro nel valore dell’uomo». Numerose le rassegne personali, gli inviti a collettive significative e i riconoscimenti. La prima personale è del 1980, alla Galleria d’Arte Bandini di Cecina, Livorno. Poi si susseguono altre esposizioni, fra le quali si segnalano, nel 1987, quella al FIAC di Parigi, con la Galleria d’Arte L’Affresco e all’Expo ’87di Bari.
Nel 1988 gli viene dedicata una personale ad Arte Fiera di Bologna, con la Galleria d’Arte L’Affresco, mentre nei primi anni ’90 realizza il Monumento alla Resistenza per la Città di Albenga, Savona; nel 1994 gli viene dedicata un’esposizione nella Sala Lorenzo della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze e del 1997 è il riconoscimento Il Pegaso d’oro della regione Toscana a Mario Luzi, a Firenze. Negli ultimi anni si ricordano la mostra Adriano Bimbi, nella Galleria Comunale d’Arte, nel centro storico e presso Il Vicolo - Interior Design di Cesena (1998), l’esposizione De statua, nella Villa Guerrazzi di Cecina, Livorno (2000) e, nel 2002, Kunst am Kolde-Ring 21, HWK, Handwerskammer Munster, in Germania.
Fra le numerose collettive si segnalano: nel 1976 V Biennale Internazionale di Grafica d’Arte, Palazzo Strozzi, Firenze; nel 1977 partecipa, con il “Laboratorio Arti visive” dell’Accademia di Belle Arti di Firenze, a esperienze cartografiche e serigrafiche nella scuola primaria di Firenze; nel 1980 Giovani artisti 50 d’aprés, Tour de Fromage, Aosta; nel 1984 prende parte a Scultori a Sarzana, al Palazzo Berghini di Sarzana, ed a Peintres à La Soffitta nell’Eglise de St. Leu, Bagnolet, Parigi; nel 1985 partecipa al Premio Antonio Ruggero Giorgi, a San Benedetto Po, Mantova (vi prenderà parte anche nel 1987, a Reggiolo, Reggio Emilia); nel 1986 si ricordano la rassegna Fra parola e immagine, al Palazzo Lanfranchi di Pisa, l’XI Mostra Arte e Sport, Palazzo Strozzi, Firenze, la I Biennale Asti Scultura, Asti, la III Biennale Nazionale di Scultura, Palagio Fiorentino, Stia, Arezzo; nel 1988 la XXVI Edizione Mostra all’Aperto Gruppo Donatello, Firenze, e Rotonda 88, comune di Livorno, Livorno.
Gli anni ’90 si aprono con Agorà: 15 Artisti toscani, a Verona, e con la partecipazione al Premio Marche, Ancona (1990). Nel 1993 la XXXII Biennale Nazionale d’Arte città di Milano, al Palazzo della Permanente; nel 1994 il Premio Suzzara, alla Galleria Civica D’Arte Contemporanea di Suzzara; nel 1995 Le Ragioni della Libertà, al Palazzo della Triennale di Milano e la XVI Edizione Internazionale Del Bronzetto, a Padova; nel 1996 Situazioni Scultura, al Palazzo Ducale di Lucca ed a Massa-Carrara, il XXIII Premio Sulmona, Palazzo dell’Annunziata, Sulmona, e Homo Faber, all’Oratorio di San Sebastiano, Forlì. Nel 1997 IX Rassegna di pittura e scultura, Montespertoli, Firenze; Perez, Bodini, Bimbi, Gruppo Gualdo, Sesto Fiorentino; nel 1998 La donna e il segno, Gruppo Gualdo, Sesto Fiorentino.
Nell’anno 1999 si ricordano due esposizioni: (S)Oggettivamente, a Civitella Val Di Chiana, Arezzo, e Il disegno in Toscana dal 1945 ad oggi, Poggio a Caiano, Firenze. Nel 2000 Ex voto per il Millennio, Museo Nazionale della Certosa di Calci; nel 2001 L’uomo in croce, Convento di S. Bonaventura, Bosco ai Frati, S. Piero a Sieve, Firenze, e Il tempo del cuore, Fondazione Arpa, Pisa. Nel 2002 Bimbi torna ad esporre nel Convento di S. Bonaventura (Bosco ai Frati, S. Piero a Sieve, Firenze) nella rassegna Il Mugello disegnato.
Partecipa nel 2003 alla collettiva Magnetismo delle forme, Tor del Sale, Piombino, Livorno.


Floriano Bodini nasce a Gemonio, in provincia di Varese, nel 1933. Si trasferisce, con la famiglia, a Milano nel 1936. Concluso il Liceo Artistico, frequenta l’Accademia di Brera.
Suo maestro è Francesco Messina e in quelle aule nasce un dialogo di reciproca stima e amicizia. La prima mostra personale è del 1958 a Gallarate, alla Galleria Amici delle Arti, con la presentazione di Giuseppe Guerreschi, figura fondamentale nella formazione culturale e artistica di Bodini. D’altro canto, oltre che gli stretti rapporti con Guerreschi, Romagnoni, Vaglieri, Ceretti, Ferroni e Banchieri, del gruppo di giovani artisti milanesi del “Realismo esistenziale”, sulla formazione artistica di Bodini agisce profondamente, dalla metà degli anni ’50, anche l’assidua frequentazione di musei e di studi di artisti a Roma.
Nel 1962 è invitato alla XXXI Biennale Internazionale d’Arte di Venezia, dove espone sette opere, mentre nel 1964 esce a Milano, per le edizioni dei Quaderni di Imago, la sua prima monografia, a cura di Luciano Bianciardi e Duilio Morosini. Dopo la partecipazione alla IX Quadriennale, nel 1965, nel 1968 la Galleria Gian Ferrari di Milano dedica una mostra all’opera Ritratto di un Papa, oggi ai Musei Vaticani.
Dal 1969 al 1971 espone con ricorrente frequenza in istituzioni e musei tedeschi, ad Amburgo, Hannover, Berlino, Oberhausen, Bonn, Bad Godesberg e Anversa: la sua opera, in seguito a questa serie di mostre, è conosciuta e apprezzata nei principali paesi europei, riscuotendo un largo successo da parte della critica più attenta e autorevole.
Allo stesso modo, in Italia il suo lavoro suscita, da queste date in avanti, il più vivo interesse. Le sue opere appaiono così, nelle rassegne più importanti di carattere nazionale ed internazionale, tra gli esempi più validi della scultura italiana, e come tali vengono accolte nelle pubblicazioni di maggior rilievo e importanza dedicate all’argomento. Nel 1973 Mario De Micheli firma il volume Ritratto di un Papa, mentre di rilevante importanza è anche la sua opera grafica, di cui nel 1973 esce il catalogo generale, Un diario spietato, a cura di Enzo Fabiani.
L’interesse per l’insegnamento lo porta ad un’intensa attività didattica: nel 1976, al Liceo Artistico di Milano, è assistente di Vitaliano Marchini; nel 1977 all’Accademia di Brera tiene l’insegnamento di Tecnologia del Marmo. Titolare dal 1978 della Cattedra di Scultura all’Accademia di Belle Arti di Carrara, ne è direttore fino al 1987 e presidente dal 1991 al 1994.
Ne lla città del marmo Bodini ha impresso un’identità alla didattica della scultura fondata sulla tradizione artigianale dei laboratori: su questa eredità ha concepito il progetto di un’Accademia, definito dallo stesso artista “pilota” e “controcorrente”.
Concluso l’insegnamento carrarese ha proseguito l’esperienza sulla stessa linea culturale, a Darmstadt in Germania, nel Politecnico di Architettura, dal 1987 al 1998, quale titolare della Cattedra di Scultura.
Il rapporto con il pubblico tedesco prosegue e perdura con l’antologica della Galleria Brigitte Maurer di Darmstadt e l’inaugurazione del grande monumento a I sette di Gottinga, nella piazza del Parlamento di Hannover, nel 1998. Inizialmente orientato per lo più sull’impiego del legno e del bronzo, a partire dagli anni ’70 Bodini si confronta anche con un’altra materia, il marmo, che diviene sempre più presente nelle sue realizzazioni nel corso degli anni ’80-’90, eseguite negli studi di Carrara e segnate da una vasta produzione di sculture monumentali - dal Monumento a Virgilio per la città di Brindisi (1985) al Paolo VI per il Duomo di Milano (1989), dal Ritratto del Cardinal Ferrari nel Duomo di Parma (1994) al complesso per l’Altare Maggiore del Santuario della Santa Casa di Loreto (1994), dal Monumento ai caduti sul lavoro a Carrara (1995) a Santa Brigida di Svezia e Crocifisso nella Basilica di San Pietro in Vaticano (1999). Fra gli ultimi complessi quello nell’Aula liturgica Padre Pio in San Giovanni Rotondo (2001). Fra le grandi realizzazioni in bronzo si ricordano invece il Monumento a Paolo VI per il Sacro Monte di Varese (1986), il Monumento a Stradivari per la Città di Cremona (1999), la Porta Santa per la Basilica di San Giovanni in Laterano (2000) e numerose opere conservate in musei italiani ed internazionali. Sin dagli esordi Bodini ha partecipato a mostre pubbliche di grande rilievo: a Milano, Roma, New York, Amburgo, Lisbona, Madrid, Colonia e Buenos Aires. È stato invitato alla Biennale Internazionale d’Arte di Venezia nel 1962 e nel 1982; ha partecipato su invito nel 1965 e nel 1972 alla IX e X edizione della Quadriennale di Roma, della quale è stato nominato Consigliere negli anni ’90. È invitato alle Biennali Internazionali di Scultura Città di Carrara. Fra i vari riconoscimenti, nel 1977 è stato insignito dall’Accademia di San Luca del Premio Presidente della Repubblica per la Scultura. Nel 1979 gli viene assegnato il Premio Bolaffi; nel 1997 il Premio per la Scultura Michelangelo Buonarroti; nel 1998, nell’ambito del Premio Suzzara, il riconoscimento alla carriera “Dino Villani”; nello stesso anno è nominato Maestro del Palio della città di Asti. Nel 2001 il comune di Carrara ha conferito a Floriano Bodini la cittadinanza onoraria. Nel 2002 la Civica Galleria d’Arte Contemporanea di Lissone gli dedica una mostra personale e nell’estate dello stesso anno, nell’ambito della XI Biennale Internazionale di Scultura, la Città di Carrara organizza una sua mostra antologica.


Joachim Schmettau nasce a Bad Doberan nel 1937. Fra il 1956 ed il 1960 studia alla Hochschule der Künste di Berlino.
Nel 1961, durante un corso di perfezionamento, è allievo di Ludwig G. Schrieber. Dal 1971 tiene la cattedra di scultura presso la Hochschule der Künste di Berlino. Nel 1972 nasce, a Berlino, il gruppo “Aspekt”, del quale Schmettau è tra i fondatori. Fra i vari premi, nel 1969 Schmettau ottiene un primo riconoscimento, vincendo il “Premio Villa Romana” di Firenze, seguito, nel 1970-’71, dal “Premio Villa Massimo” di Roma, mentre nel 1977 gli viene conferito il “Premio Großer Berliner Kunstpreis” a Berlino e nel 1980 il “Premio Düsseldorfer Kunstpreis” di Düsseldorf.
La prima personale dedicata all’artista è del 1968, presso la Galerie Strecker di Berlino, e l’anno seguente le sue opere sono presentate in Italia, a Cremona, dal Gruppo d’Arte “Renzo Botti”. Da questo momento l’artista esporrà soprattutto in questi due paesi, dove si aprono, fra le numerose mostre dedicate alla sua scultura, le esposizioni alla Städtische Kunsthalle di Mannheim (1970), alla Städtische Galerie di Ravensburg (1974), alla Staatliche Kunsthalle di Berlino (1983), al Neuer Berliner Kunstverein (1986), la mostra dal titolo La statuaria lumeggiata, itinerante a Vimercate, Milano e Cesena, curata da Marisa Zattini.
Lucio Cabutti scrive sull’opera di Joachim Schmettau, nel catalogo di quest’ultima mostra: «[...] il suo spirito espressionista consiste in un sentimento latente di violenza, disagio e tensione emotiva, sempre sfiorato dall’oscuro rischio del caos, della dissipazione e dell’annientamento, a cui la coscienza si oppone attraverso il senso della forma e dell’immagine umana. L’espressività dei suoi personaggi, anzi, è giocata anche su questo ruolo eroico e tragico di resistere e esistere, malgrado tutto, esorcizzando esteticamente le proprie malattie spirituali e materiche in nome della passione di vivere, e arroccandosi nella propria identità figurale come nell’estrema risorsa contro il naufragio del tempo». Nel 1996 viene dedicata allo scultore un’esposizione a Bologna, alla Galleria Maggiore e nel 2000 a Bad Homburg e a Darmstadt.
L’ultima personale, nel 2002-’03, è alla Galerie Eva Poll di Berlino. Fra le numerose collettive si segnalano: Wanderausstellung der Hochschule für bildende Künste in Verbindung mit dem Deutschen Kunstrat a Londra, nel 1963 e, nello stesso anno, XIII Jahresausstellung der Neuen Darmstädter Sezession di Darmstadt; Berlin XX. Jahrhundert, Losanna (1968); nel 1969 Biennale Internazionale di Scultura, Città di Carrara, Beispiele europaischer Plastik heute, Wiener Sezession, Vienna e Berliner kunstler a Djakarta, Bangkok e Hong Kong; Contemporary Graphic Art in Germany, Tel Aviv (1975); Aspekt Großstadt, Künstlerhaus Bethanien, a Berlino, Londra e Edimburgo (1977), Berlin Now, New School Art Center, New York (1977); Aspekte, Londra e Hannover (1978); Zeichnungen der Gegenwart, a Köln, Sidney, Belgrado, Oslo, Buenos Aires (1982); Kunst 1945-1985, Neue Nationalgalerie, Berlino (1985); 15 Berliner Künstler in Brasilien, Sao Paulo, Rio de Janeiro, Porto Alegre, Recife (1986-1987); Omaggio a Melozzo, Palazzo Albertini, Forlì (1994), Museion, Maestri della scultura italiana e tedesca, Bolzano (1994); VIII. Biennale Internazionale di Scultura, Città di Carrara (1996). Negli ultimi anni Joachim Schmettau partecipa a mostre a Leipzig, Berlino, Lübstorf, allo Schloss Wiligrad, nel 2000, a Francoforte nel 2001, e, nel 2002, al Kolbemuseum di Berlino, a Neustrelitz e all’Ausstellung im Kadewe di Berlino.


Bruno Ceccobelli è nato a Todi nel 1952. Compie gli studi frequentando l’Accademia di Belle Arti di Roma, città dove tiene la sua prima mostra personale, alla galleria Spazio Alternativo, nel 1977. Nello stesso anno espone per due volte allo spazio La Stanza, autogestito dagli artisti, di Roma.
La sua ricerca, inizialmente di tipo concettuale, giunge ad un’astrazione pittorica che, attraverso il recupero del “ready - made” e una manipolazione dei mezzi tradizionali dell’arte, approda ad un vero simbolismo spirituale.
In una lettera a Gillo Dorfles l’artista scrive: «L’artista dovrebbe essere il veggente per eccellenza, simile al profeta fuori dal tempo. Capta il futuro e il passato con la stessa costanza perchè in realtà lui è “nell’eterno presente”. [...] La mia pittura mi ha insegnato ad accettare i volti, i busti, mani, piedi, come elementi e canoni di un lemma ancora esistente, possibile e futuro. [...] Ho sempre pensato che il mio lavoro debba operare nella classicità intendendo come classico il concetto di eclettismo. [...] Io, con la simmetria e altri rapporti numerici e sezioni auree costuisco lo spazio, l’espressione e lo stare delle figure [...] simmetria come specchio, riflessione, sacralizzazione della nostra natura terrena e celestiale». Essere artista per Bruno Ceccobelli è «una scelta di vita per migliorarsi. [...] Si vive in una dimensione alternativa, poetica, che affina la sensibilità e crea un’autoscienza. È un mettersi ferocemente a nudo per scoprire la propria missione. Per me, ciò ha comportato un avvicinamento alle filosofie orientali».
Dopo una prima collettiva in Austria, nel 1980 partecipa alla Biennale de Jeunes di Parigi. Nel 1981 espone alla Galleria Ugo Ferranti di Roma e successivamente da Yvon Lambert a Parigi, mentre nel 1983 gli viene dedicata una mostra da Salvatore Ala a New York (1983). Espone alla Galleria Gianenzo Sperone di Roma nel 1984, anno in cui è presente alla Biennale di Venezia nella sezione Aperto.
Nel 1986 torna ad esporre alla Biennale di Venezia nella sezione Arte e Alchimia, invitato da Arturo Schwarz che scrive: «Ceccobelli è sempre stato fedele solo ed esclusivamente al proprio mondo interiore - scansando risolutamente ogni adesione alle effimere mode del
momento. Ha saputo, e sa, esprimere questo suo modello interiore in modo inedito e personale, incurante della disputa astrazione-figurazione che riesce anzi a conciliare; e finalmente, proprio in virtù dell’inderogabile esigenza di esprimere con la più intima adesione possibile i propri moti dell’anima [...] Ceccobelli non ha mai esitato a rinnovarsi e a rinnovare la sua sigla espressiva la quale, proprio in virtù del suo radicarsi in una profonda esigenza etica ed estetica, emana un’intensa aura poetica. [...] Penso all’arte di Ceccobelli come a un’espressione filosofale nel duplice senso della parola: arte che s’ispira a una filosofia della vita e quindi si fa portatrice di valori etici ed estetici, e arte che trova la sua ragione d’essere nella pulsione indagatrice, propria anche del sistema filosofico che struttura l’alchimia».
Del 1988 è una triplice esposizione a New York presso la Jack Shainman Gallery, a Roma presso il Centro di Cultura Ausoni e a Madrid, presso la galleria Mar Estrada. Sempre nel 1988, al Caffè Florian di Venezia, presenta 777 opere di piccole dimensioni formanti un’unica installazione.
Nel 1989 espone a Parigi alla Galleria Yvon Lambert, a Londra, alla Galleria Mayor Rowan, e a Barcellona, da Thomas Carstens. Gli inizi degli anni ’90 vedono il suo esordio sul panorama artistico tedesco: espone alla Hilger Galerie di Francoforte (1990), alla Hilger Galerie di Vienna (1993), alla Galerie Tribold di Basilea (1991) e alla Galerie Holtmann di Colonia.
Nel 1993 gli vengono dedicate ampie personali al Museum Centre Saydie Bronfman di Montreal e alla Galleria d’Arte Moderna di Rimini.
Dopo aver presentato le sue opere all’Istituto di Cultura Italiana a Malta e alla Galleria BMB di Amsterdam, nel 1995 ha una personale alla galleria Kouros di New York, mentre nel 1996 partecipa alla Quadriennale di Roma.
Dal 1998 è rappresentato in Canada presso due gallerie: alla Galleria Han di Montreal e alla Art-Core Gallery di Toronto. Nel marzo del 2000 si apre una grande personale al Museo d’Arte Contemporanea di Riccione, che raccoglie un’antologica delle sue opere.
Nel 2001 torna in Germania, a Colonia, dove è ospite della Galleria Binz & Krämer; in seguito espone in Austria presso la Contemporary Art Gallery a Villach.
Celebra i suoi venti anni di esposizioni in Olanda nel 2002 con una mostra nella Galleria BMB, con la quale lavora in esclusiva.
Bruno Ceccobelli ha partecipato alle più importanti rassegne internazionali, in Italia e nei maggiori musei del mondo:è stato presente alla Biennale di Venezia (1984, 1986), alla Quadriennale di Roma (1984) e alla Biennale di Sidney (1986).
Vive e lavora tra Roma e Todi.
Relativamente a quest’opera, No-è, Bruno Ceccobelli scrive: «Il mio Noè ebbro è “no è” provocazione semantica che rivela vari significati: “il no che è” cioè il “nulla che è” ovvero per me l’invisibile (l’astratto, il sogno, la speranza) che è la vera realtà creativa; traslatamente l’ebbrezza di Noè potrebbe essere letta come l’incontro con la propria Divinità».



Paola Gandolfi è nata a Roma, dove ha frequentato il Liceo Artistico, proseguendo poi gli studi presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna. Parallelamente alla giovanile formazione artistica , gli studi psicoanalitici hanno notevolmente contribuito a costruire il suo linguaggio pittorico.
Dalle prime mostre a Bologna approda alla “Tartaruga”di Plinio de Martiis con una mostra collettiva nel febbraio del 1981. Ha partecipato, poi, alle più importanti rassegne artistiche - Biennale di Venezia, Arte Fiera di Bologna, MiArt a Milano, FIAC di Parigi, Quadriennale di Roma - e a numerose collettive in Italia e, all’estero, in Austria, Spagna, Svizzera, Francia, Germania, U.S.A., Australia, Finlandia, Corea, Belgio, Regno Unito e Messico. Dopo la prima personale (Galleria Pio Monti, Roma 1983), sono state dedicate all’artista varie mostre, fra le quali Sogni romani, alla Galleria Philippe Daverio di Milano, nel 1991, la Sala personale alla Biennale di Venezia, nel Padiglione Italia, nel 1995, l’esposizione alla Galleria Monique Knowlton di New York nel 1996 - poi portata ad Arte Fiera di Miami (1997), a New Haven, Connecticut (1997), a Guadala-yara, Messico (1997). Nel 2000 la Galleria Allori propone l’artista ad Arte Fiera di Bologna, a Madrid ed al MiArt di Milano. L’ultima esposizione personale, Esercizi di equilibrio, si è aperta nel 2002 alla Galleria La Vetrina di Roma, con testo in catalogo di Gianluca Marziani. Dagli anni ’80 ad oggi Paola Gandolfi ha partecipato a numerose esposizioni: Pittori anacronisti italiani, al Centro Culturale Conde Duque di Madrid (1985), seguita, nello stesso anno, dalla mostra New Romanticism, all’Hirshom Museum di Washington. Gli anni ’90 si aprono con un’importante esposizione, Trent’anni di avanguardie Romane, al Palazzo delle Esposizioni di Roma (1991). Sono del 1996 le partecipazioni a Pittura, al Castello di Rivara, Torino ed alla XII Quadriennale di Roma, Ultime generazioni.
Negli ultimi anni ha partecipato ad importanti manifestazioni artistiche in Italia (nei Cantieri Culturali della Zisa di Palermo Corpo incorrotto corpi corrotti è del 1998; al Museo del Risorgimento di Roma La pittura ritrovata 1978-1998, nel 1999; nello stesso anno, al P.A.C. presso la Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contemporanea di Milano suigeneris; al Ministero degli esteri (la Farnesina) Artisti italiani del XX secolo alla Farnesina, Roma 2001; al Palazzo Reale L’Arengario per tutto l’odio del mondo, Milano 2001) e all’estero (alla Galleria Weszone Cultural ties di Londra, nel 2000; al Museum voor Moderne Kunst di Ostenda, Belgio Between Earth and Heaven nel 2001). Nel 2002 si ricorda la partecipazione a segno disegno progetto… collezione Francesco Moschini all’Italian Cultural Institute di Seoul, Corea. Infine nel 2003 Paola Gandolfi prende parte a: Melting Pop, al Palazzo delle Papesse di Siena e al Museo d’Arte Castello di Masnago, Varese; La Scuola Romana nel novecento, presso il Chiostro del Bramante, collezione Cerasi, Roma. Scrive l’artista su quest’opera: «Ho tentato, nel mio quadro, di mostrare l’imponenza del simbolo paterno, una sorta di totem (Noè). L’i mmagine è rovesciata, così come in altri miei quadri, l’idea della testa in giù rappresenta una posizione dove la verità e i segreti (vengono a galla) si mostrano, una diversa posizione inconscia, dove appare uno stato secondo. Ho concentrato lo sguardo su una parte del corpo maschile, perché quello è lo sguardo del figlio, l’organo maschile paterno è l’archetipo della potenza, dello stato, e quello è il segreto. Le gocce rosse sono il vino, che cade solo sui figli, perché solo loro subiranno le conseguenze dell’ebbrezza di Noè».


Luca Piovaccari è nato a Cesena il 6 luglio 1965. Vive e lavora a Cesena.
È un artista che gioca il suo lavoro sull’ambiguità dell’immagine, risolta attraverso trasporti fotografici su fogli di acetati, oppure nel gioco più realistico della pittura, in un rimando allusivo che porta allo slittamento continuo fra i vari generi linguistici. Il tutto con i toni del bianco e nero, che sottolineano ancor più la struggente malinconia di queste “radiografie ontologiche”.
Così lo stesso Piovaccari si esprime sul proprio fare arte: «Preferisco i lavori sul paesaggio [...] Figure e paesaggi di plastica che si nutrono del reale ma che estraniano il loro modo di essere e per assurdo diventano altro.
Nelle mie ricognizioni prediligo le zone o quelle situazioni che si vengono a trovare ai margini, momentaneamente desolate, luoghi come linee di confine degradate e fragili, come le periferie che catturano lo sguardo e indagano la visione del paesaggio che per me anche se a Cesena potrebbero essere a Roma, Milano oppure a Berlino. Immagini fragili... e trasparenti... fatte di luce!»
Fra le principali personali dedicate all’artista si ricordano: nel 1992 alla Galleria Comunale d’Arte di Bagno di Romagna; nel 1998 alla Galleria Romberg di Latina; nel 1999 la mostra dal titolo Tempo riflesso, a Faenza; nel 2000 le personali presso Marella Arte Contemporanea, a Milano, la Galleria Comunale D’Arte - Palazzo del Ridotto di Cesena, con una presentazione di A. Riva e R. Ronchi, e presso la Galleria dell’Immagine di Rimini.
Nel 2001 gli viene dedicata dalla Galleria Romberg la mostra dal titolo Anteprima, all’interno del Miart di Milano. Numerose sono le collettive alle quali l’artista partecipa: nel 1994 Omaggio a Melozzo, a Palazzo Albertini, Forlì; nel 1995 la I Biennale d’Arte Romagnola, alla Galleria Comunale di Cesena; nel 1996 I Premio Trevi Flash Art Museum, Trevi, e Realismo italiano, Collezioni Nordstern, Colonia. Nel 1997 partecipa a Ezra Pound e le Arti, a cura di A. Beolchi, M. Cecchetti, V. Scheiwiller, al Palazzo Bagatti Valsecchi di Milano e a Giovani artisti romagnoli, con il Progetto Euarca Romagna-Kassel, nella Galleria d’Arte Moderna di S. Sofia, Forlì. Nel 1998 espone a Children, a cura di F. Petracci e L. Pratesi. Nel 1999 partecipa ad Arte Fiera di Bologna, Miart a Milano, alla Biennale Romagnola di Fotografia, a Cesena, e al Premio Marche 1999, a cura di L. Caramel, C. Spadoni, D. Guzzi, S. Cupini, ad Ancona.
Fra le più recenti partecipazioni si ricordano: nel 2000 Formae, all’Istituto di Cultura Italiana, Berlino; Parola e immagine a cura di M. Calvesi e L. Canova,Teatro Argentina, Roma; Il nuovo paesaggio in Italia allo Spazio Electra, Parigi; Sui Generis al P.A.C. di Milano; nel 2001 8 artisti, 8 critici, 8 stanze a cura di D. Auregli e P. Weiermair , G.A.M., Villa delle Rose, Bologna; Pittura in Romagna - Aspetti e figure del Novecento, Galleria d’Arte Moderna, Cesena; Book AXA Art Corporate Collection Today, Selection of contemporary artworks, Koln; 2002 Italia Lussemburgo, Palazzo Mazziotti, Caserta; “Premio Nazionale di Pittura Città di Monza”, Serrone di Villa Reale, Monza; Outdoor - Italian artists in Germany, Kunst und Kulturverein, Aschersleben; Selezione n. 1 fotografia italiana, Farsetti, Milano; Intervento a casa di Ludovico Pratesi, Roma. Nel 2003 Piovaccari partecipa a Alto impatto ambientale, nei Chiostri di S. Domenico a Reggio Emilia.
Luca Piovaccari ha scritto relativamente alla sua opera: «Nel lavoro che presento due bambine davanti a pampini di vite si fingono ubriache in spensierata allegria ignare del futuro, ma come ad affermare che l’ironia serve; serve ad avere una visione aperta e curiosa sul mondo».


Massimo Pulini è nato a Cesena.
Dopo aver esordito giovanissimo, ha svolto un ruolo attivo tra gli artisti che, all’inizio degli anni Ottanta, venivano variamente definiti come Anacronisti, lpermanieristi o Pittori colti, partecipando ad esposizioni curate da Italo Tomassoni, Paolo Portoghesi, Maurizio Calvesi, Giuseppe Gatt e Italo Mussa. Il percorso della sua ricerca, infuso di un profondo dialogo con la storia, ha però sempre avuto caratteri di forte unicità, non coincidenti con alcuna delle varie ‘teorie’ formulate in quegli anni. Tra le esposizioni più rilevanti si ricordano la partecipazione alla XI Quadriennale romana (1986), la grande rassegna Novecento.
Arte e Storia in Italia (curata nel 2000 da Calvesi per le Scuderie del Quirinale) e le vaste mostre tenute presso il Museo di Villa Adriana a Tivoli (1977) e presso il Teatro Farnese e il Palazzo della Pilotta a Parma (1999). Dagli inizi degli anni Novanta escono le prime pubblicazioni di suoi saggi storici su pittori del XVII secolo (si occuperà in questo decennio della ricostruzione del corpus pittorico di importanti artisti come Bartolomeo Manfredi, Giuseppe Vermiglio, Pietro Novelli, Alessandro Turchi, Simone Cantarini, Michele Desubleo, Cristoforo Serra, Domenico Fetti, Pietro Ricchi, Andrea Lilio e soprattutto Guercino, aggiungendo vari inediti e nuove interpretazioni). Da quel momento le due attività, di pittore e di ricercatore storico, si alternano e si intersecano, in un certo senso nutrendosi reciprocamente. Nel 2001 ha curato, per conto della Pinacoteca Civica di Cento l’esposizione Guercino, racconti di paese, una importante rassegna sui temi del paesaggio e della scena popolare, nella pittura emiliana del XVII secolo.
Attualmente Massimo Pulini è titolare della Cattedra di Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna, dopo aver insegnato nelle Accademie di varie città italiane. «La memoria onirica di Pulini pesca oltre il tempo in altre vite, più lontane, nelle quali si identifica per comunanza di vocazione e spesso, per la parentela delle origini/ pittori della sua terra, delle cui ansie e dei cui aneliti testimoniano le tele delle chiese e delle pinacoteche, nel raggio di una assediante vicinanza fisica, in quegli stessi luoghi dove Pulini ha conosciuto il mondo, quel mondo, quella natura, quei siti che hanno conosciuto e vissuto anche loro; tra apparizioni e dissolvenze che il pacato e cogente delirio di una memoria sollecitata dal sentimento riconosce come proprie, ritualizzate dalla verità sempre astante della pittura. […]
Le compenetrazioni che Pulini realizza in questi anni hanno un fascino straordinario; internamente alle antiche composizioni, creano un tenue vortice che celebra squisitamente la pittura come materia di un’ispirata alchimia, nei cui cicli il tempo si fa diafano, inconsumabile tempo della trasformazione e del ritorno; e nel cui corpo di porcellana, d’ambra, di quarzo, di opale è come infuso o diffuso in solenne e delicato spargimento, un alito di spirituale rotazione» (Maurizio Calvesi).
La recente ricerca di Massimo Pulini fa del colore squillante e “termografico” - sempre su supporto radiografico - il protagonista assoluto, in contrasto con i cicli pittorici precedenti giocati sui toni monocromi dei grigi, dei bianchi e dei neri, con suggestioni del costrutto pittorico di fascino evocativo e di “spettrale turbamento”. «[...] in termini concettuali, dipingere sulle radiografie può significare regredire dal risultato pittorico al suo processo di formazione, ripercorrere la crescita dell’immagine iterando il gesto dell’antico pittore. Le radiografie dei corpi umani lasciano intravedere poco più che macchie indistinte, talvolta un teschio, un arto, un costato, tracce di “interiorità” e di dolore, come se la pittura fosse a sua volta un corpo scrutato dentro; e del resto l’analisi radiografica si esercita anche proprio sui dipinti, che in questo caso rispondono come per un incantesimo, rivelando da tali slumacature il transito sofferto, su quella pagina dell’uomo. La ripetizione del processo pittorico diventa una sorta di liturgia a lume di luna, sospesa tra i regni della tenebra e gli spazi siderali del ritorno (M. Calvesi). Quest’ultimo ciclo pittorico è dunque un procedimento di analisi e di scandaglio ulteriore che si esplicita nel colore magmatico, che ribolle, portando in superficie i codici interiori dell’anima dei suoi personaggi. Il titolo dell’ultima rassegna tenutasi a Cesena, nella Galleria Comunale d’Arte del Palazzo del Ridotto, Solve et coagula «rimanda contemporaneamente all’idea di processi chimici, nel diluirsi e poi rapprendersi di materie e agenti, e al calore, alla temperatura che è condizione necessaria per l’attivazione di questi processi, e mezzo per condurre ad esito il procedimento, portando a visibilità il risultato» (C. Terrosi). E ancora scrive Giancarlo Papi: «La superficie [della tela] è stata e continua ad essere luogo di rapporti tra segni, colori, dinamiche pure della rappresentazione. In questo senso i valori di superficie appartengono alla pittura nella sua massima estensione, attraverso le polarità dell’astrazione e della figurazione che agiscono simultaneamente nel compiersi del colore sulla superficie.
Tutto sta nel capire la vera esigenza del colore, che è problema storico, profondo e complesso che attraversa con folle ambiguità la tradizione della pittura contemporanea. Ambiguità non tanto come concezione percettiva o psicologica ma come stato di ricerca volutamente disorientato e, proprio per questa natura, in grado di formarsi, negarsi e rinnovarsi con ulteriori scatti dell’immaginazione».


Medhat Shafik è nato il 1° gennaio del 1956 ad El Badari (Assiut) in Egitto. Dal 1976 vive ed opera tra Milano e Il Cairo.
Si è diplomato nel 1980 in Pittura e nel 1985 in Scenografia presso l’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano. In Italia, in Egitto e in altri paesi, ha partecipato ad importanti manifestazioni artistiche aggiudicandosi numerosi premi e lusinghieri giudizi. La sua consacrazione giunge nel 1995, quando, invitato alla XLVI Biennale di Venezia, per i suoi quadri e installazioni nel Padiglione dell’Egitto, gli viene conferito, unitamente a due artisti connazionali, il Gran Premio Leone d’Oro per il miglior padiglione. Nel 1996 gli viene dedicata un’interessante rassegna alla Galleria Comunale d’Arte di Cesena e presso Il Vicolo - Interior Design, curata da Marisa Zattini. Nel 1997 vince il Premio Alcatel alla VII Biennale Internazionale del Cairo, dove gli viene aggiudicato, nel 2001, il Premio Biennale.
Artista di successo internazionale. Pittore ma anche scultore, abile alchimista nel mescolare materiali e tecniche diverse, riesce a coniugare le suggestioni e i colori delle terre d’oriente con le più avanzate modalità compositive delle avanguardie occidentali. Si tratta, infatti, di un incontro felice tra due culture: quella orientale, dell’idioma materno e quella occidentale, appresa nei suoi studi milanesi. Sarebbe illusorio cercare nella pittura di Shafik i segni evidenti di una identità egiziana secondo dei criteri occidentali; la sua pittura potrebbe addirittura essere inserita nel filone espressivo dell’informale anni ’50-’60.
Pierre Restany scrive, relativamente all’opera pittorica di Shafik: «Le sue tele sono innanzitutto cooperazione e racconto, ricche di riferimenti visivi alla tradizione orale e al filo rosso del pensiero poetico dell’artista. Il racconto di Shafik è naturalmente “da favola”: basti pensare ai titoli delle sue opere per capire che la vera motivazione della sua pittura è per lui il piacere, il piacere dei sensi e della mente [...] il piacere di Shafik consiste nel vagabondare nei gialli deserti, passando per antiche fiere, ascoltando i suoni dei luoghi lontani, nel cercare tra le sabbie i rossi bagliori e nell’ombra la luce che scivola sul mondo. Piaceri semplici fortemente colorati, come le visioni del benessere, inteso come felicità fisica e mentale».
La sua pittura è una perenne ricerca di radici, un “viaggio metastorico, purificatore dell’anima come quello degli antichi viandanti o dei monaci tibetani”.
Sue opere sono presenti in importanti collezioni e musei italiani ed esteri.
Nel 1998 realizza Il percorso dell’asceta, per la VI Biennale Internationale du Film sur l’Art, Centre Georges Pompidou, tenutasi a Parigi ed è invitato, nello stesso anno, alla VII International Biennal of Cairo come “Special Guest”, in Egitto.
Nel 1999 realizza a Cervia, nella Galleria Comunale d’Arte Ex Pescheria, una suggestiva rassegna-installazione dal titolo Il risveglio della Fenice, curata da Marisa Zattini, e a Como nel Salone San Francesco, a cura di Alberto Fiz, La via della seta, presentata anche al Festival International du Film sur l’Art, Montreal (Canada). Fiz al proposito scrive: «[...] una rappresentazione tesa a cogliere in profondità il pensiero artistico di Shafik che considera il viaggio come una metafora, una sorta di iniziazione spirituale che gli consente di riappropriarsi del presente». Lo stesso artista spiega: «[...] In questo viaggio nel tempo cerco le radici delle antiche civiltà, le radici dell’umanità, la linfa vitale dell’uomo, dei suoi sentimenti, del suo intelletto, al di là degli spazi, dei luoghi e dei tempi». Sempre del 1999 è la mostra Bagliori allestita nelle sale di Spirale Arte a Milano. Anche qui i materiali più diversi vengono utilizzati dall’artista per creare magiche atmosfere: «Fanno parte di questo “allestimento” per esempio le garze, trasparenti ma sempre interposte come una distanza, un limite anzi una frontiera situata fra lo spazio del vedere e quello dell’essere visto. La garza che rivela ed al tempo stesso occulta, che dispiega e soffonde la “natura” più segreta dell’opera, sia essa dipinto o installazione o entrambe le cose» (Martina Corgnati). Nella più recente ricerca Shafik utilizza delle carte fatte a mano: «dalla consistenza quasi di stoffa, quasi dei sudari su cui si stratificano le impronte del tempo [...] per dirci che in noi esiste un altro strato del percepire il mondo, uno strato più profondo, e che il compito dell’artista è quello di scavare tra la sabbia per farcelo vedere, prima che la sabbia lo ricopra di nuovo. In questo senso le opere su carta sono frammenti, ma non è frammentario il processo che li svela, che li porta alla luce, perchè in questo caso l’artista è anche lo scrigno che teoricamente le custodisce tutte [...]» (M. Meneguzzo).
All’opera L’Ebbrezza di Noè, ovvero Il candore della passione, anch’essa realizzata con carte pressate ad impronta e legno scolpito e dipinto, l’artista ha dedicato questa sua lirica: «E tu amica delle notti felici / non sai quanto ho pianto / impigliato nelle reti del fato... / I dolci canti malinconici della sera, / le inquiete danze ancestrali / compagne della solitudine dei poeti / che battono i talloni / sulla terra arata dalla lava / svegliando gli anni del tempo / dal sonno dei vulcani / portatori dell’incenso primordiale / offerto agli dei. / Nelle notti cariche di promesse di vita / dei tempi dell’amore / cresce la forza del poeta, / apre le braccia / cogliendo l’infinito / e battono i talloni del poeta / sulle terre arate dalla lava / svegliando gli anni del tempo / dal sonno dei vulcani».


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