La scultura di Richard Hess




Esiste indubbiamente una grande tradizione figurativa nella scultura tedesca: risale a Schadow e Rauch, che nel periodo Neoclassico, dopo essere stati per lungo tempo a Roma, esercitarono a Berlino una profonda influenza. Solo ricordando il falso realismo degli artisti alla Breker, ha spinto, subito dopo questa guerra, i pittori e gli scultori nelle trame dell'astrattismo. Ma ora non c'è davvero nessuna ragione per dimenticare una lezione che non si era mai interrotta: basta ricordare l'italo-tedesco De Fiori e Grzimek che, tra l'altro, aveva avuto rapporti con Fritz Cremer, lo scultore destinato, nel '58, a scolpire la rivolta dei prigionieri nel campo di concentramento di Buchenwald.

Queste vicende risvegliano in me molti ricordi, anche perché parecchi di questi personaggi ho avuto occasione di conoscerli. Non ho invece conosciuto Richard Hess, anche se ha frequentato a Berlino, dal '56 al '61, la stessa Accademia dove ha studiato Joachim Schmettau, che invece conosco molto bene e di cui, più volte, ho presentato le mostre. Naturalmente però, di Hess, conosco le sculture, intrepide e sicure.

Adesso le riguardo: sono immagini del tutto "esplicite", contrarie quindi a quella "monade senza finestre", ermeticamente chiusa in se stessa, in cui credeva Adorno per salvarsi dall'invadenza dei mass media, che banalizzano la nostra verità. Hess, diversamente, possiede una profonda fiducia nel discorso diretto attraverso la rappresentazione. La donna e l'uomo infatti hanno una faccia anche se oggi sembra che molti l'abbiano dimenticato. E hanno pure un corpo, con la sua gravità, il suo spessore, i suoi movimenti. Quando l'autore della Genesi ha avuto bisogno di rappresentare la potenza di Dio, lo ha descritto come uno scultore che impasta l'argilla e le dà forma: quella fu senz'altro la prima scultura della storia dove venne affermata l'identità d'anima e corpo.

Pur vivendo nel cuore medesimo della crisi artistica contemporanea, lo stesso Picasso non pensava diversamente; diceva: "La pittura è un'arte essenzialmente concreta, che può consistere soltanto nella rappresentazione delle cose reali ed esistenti... Un oggetto astratto, invisibile, che non esiste, non è di dominio della pittura". Ecco: è la stessa convinzione di Hess, recuperando tuttavia la coscienza moderna dell'immagine fuori d'ogni crisi. La lezione a cui egli s'accorda è dunque quella che rimonta ai motivi dell'enunciazione plastica diretta, fuori d'ogni preoccupazione che non sia dettata da un'immediata energia espressiva. Ora, appunto così, mi sembrano le sculture presentate alla grande mostra di Cesena. Cinquanta sculture non sono poche per giudicare la validità di un artista. E si tenga presente che almeno sei di queste opere sono oltre i due metri d'altezza, né le altre sono di un impegno minore. Lo "scenario" che ne risulta appare perciò ricco di umori, tragico o ironico, drammatico o tenero. Hess esprime sia la pietà per le vittime che la convinzione degli eroi, la violenza che ci aggredisce come il dubbio che a volte ci turba.

Le sculture che egli presenta vanno dal 1972 al 1997, in un folto schieramento di opere che ne dimostrano le qualità di fondo. È difficile che si ripeta. Nel giro degli anni, il suo svolgimento è stato sempre sollecitato da immagini aperte ed evidenti, dove il mistero, quando c'è, si manifesta in maniera indiretta e, in ogni modo, carico di allusioni suggestive. Questa, appunto, è la sua poetica, motivata ogni volta da una ragione interiore, che attinge forza dalla persuasione di un estro sicuramente ispirato. Il mito, realisticamente interpretato e la realtà vissuta come sogno, cioè leggenda e verità, si confondono insieme strettamente, quali misura di un'invenzione che possiede la garanzia dell'autenticità.

L'Adamo possente del '73, tarchiato e primitivo, sprigiona da sé un originario vigore. Con tale scultura Hess riesce senz'altro a comunicarci quell'accento primordiale che ci dà il sentimento di una natura selvaggia, allo stato brado. È la stessa cosa che egli riesce ad esprimere col Grande pugile, stremato ma imponente: un corpo massiccio e compatto, che fra qualche momento si alzerà dall'angolo del ring per combattere la sua battaglia. È il senso delle forze oscure e prepotenti che agiscono in noi e che Hess intuisce e di cui ognuno di noi avverte lo strano fascino. Opere di questo tipo sono indubbiamente anche il Guardiano e il torso del Davide, sculture di sicuro rilievo dell'88 e dell'82. Il Guardiano è un personaggio di solido impianto, a guardia di un palazzo ignoto, che sta ritto in piedi con la testa catafratta; mentre il Davide, con la testa ugualmente difesa da un'armatura, si prepara a lanciare il sasso mortale al gigante: si vede la fionda legata al suo polso destro, attorcigliata, col fianco inclinato per scagliare meglio il fatale ciottolo. A creare la serie di tutti questi suoi protagonisti concorrono insieme la Bibbia, la Mitologia, il Mito e la Fantasia: soprattutto la Fantasia, perché è veramente questa che investe le opere di Hess e le solleva nel mondo privilegiato dei valori estetici. I suoi personaggi maschili, a differenza di quelli femminili più dolci, hanno però di solito un timbro drammatico. Tra l'86 e l'87, egli ne ha modellato un gruppo doloroso, condannato al supplizio della croce. Due di queste grandi sculture sono intitolate Martirio, la terza Il Ladrone. In realtà tra di loro non c'è nessuna diversità. Rappresentano il tormento dell'uomo nelle avversità della vita, il supplizio d'ogni giorno, la nostra oppressione. Il Ladrone, che egli poi non dice se sia il "buon ladrone" o quello "cattivo", appare condannato comunque: la crocefissione cioè è solo un simbolo dell'esistenza.

Ma senza dubbio, dall'80 ad oggi, Hess è particolarmente riuscito a rappresentare il fascino seducente della bellezza femminile: inebriante, sensuale, materna. Egli rappresenta la donna nei modi più diversi, non dimenticando mai la sua intima grazia. La rappresenta nelle sue vesti fruscianti, nei suoi ornamenti, quando danza, si asciuga i capelli, stringe al petto un bambino, quando si pavoneggia per la strada. Non trascura nessuno dei suoi atteggiamenti, la sorprende quando fuma, quando addenta una fetta d'anguria, magari quando mangia, sbrodolandosi, un piatto di spaghetti.

Si pensi alla Grande figura femminile che incede, dell'81: ha il passo solenne di una Dea, consapevole che nella via ogni occhio è fisso su di lei. È alta, fasciata da una veste che ne modella l'intero corpo formoso: la sua è una sorta di marcia trionfale per la città. Hess, senza dubbio, una figura del genere l'ha certamente vista, considerandone il magnetismo, l'attrazione fatale, di cui egli stesso ha subìto l'incanto; e così l'ha scolpita. Si tratta di una scultura oltre i due metri d'altezza, ma di queste imponenti opere, nella mostra di Cesena, ce ne sono parecchie. La Grande donna che si asciuga i capelli, dell'83, è una di queste: un nudo che, intorno alla testa, si avvolge un ampio asciugamano. E così la Donna con bambino I, dell'84; la Grande Donna in abito da sera, dell'88; la Donna che si veste, del '95; la Donna che medita, del '97. Ma non è che le altre opere siano di misure troppo inferiori. Hess ha raccolto qui circa cinquanta opere di cui è difficile dire quale sia più importante delle altre. È un complesso che sta insieme con significati diversi, ma con un valore unitario.

La chiave d'una possibile interpretazione è distribuita in parti uguali in ogni opera. Forse è inutile pensare che esista un modo unico d'interpretarle. I significati s'inseguono, coincidono con l'immagine come una verità distinta, tuttavia, al tempo stesso, un significato generale esiste ed è la vita, che non si può chiudere in una formula. Ma la vita, nelle sue manifestazioni, ha innumerevoli volti. Montaigne diceva: "La natura non è altro che una poesia enigmatica". E forse Hess, nel groviglio di tutte le sue sensazioni, ha espresso una volta qualcosa del genere in una scultura che adesso si trova a Cesena. Come Montaigne anch'egli si riporta ugualmente alla natura col suo Grande Minotauro dell'84. In questo antico mostro mitologico, egli ha così celato la trama inesauribile e imperscrutabile della nostra esistenza, le virtuali potenze originarie che ci guidano. Che dire di più? In mano loro è la nostra sorte, ma il valore dell'arte è solo nostro. Hess lo sa e così difende, con la sua scultura, il proprio vantaggio.

Mario De Micheli


a sinistra:
Richard Hess, Donna che mangia spaghetti - 1993
gesso - 44 x 40 x 36 cm